Le Rivolte dei Briganti: una vera guerra civile italiana

Le rivolte dei briganti erano dettate da diverse cause: aumento della pressione fiscale sui ceti più poveri, mancata redistribuzione dei latifondi (riforma agraria), privatizzazione delle terre demaniali, piemontesizzazione dell’amministrazione pubblica, leva obbligatoria.

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I Briganti erano contadini, braccianti, pastori, nullatenenti, ex-soldati borbonici, delinquenti comuni, renitenti alla leva. Si riunivano in piccole bande indipendenti ed il loro numero è stimato fra i 30 e i 50 mila uomini.
Trovavano terreno fertile tra legittimisti filoborbonici, parte del clero (propaganda contro i Piemontesi “massoni e senza Dio”), lo Stato Pontificio, il governo borbonico in esilio, capeggiato dall’ex-re Francesco II di Borbone e da sua moglie, Maria Sofia di Baviera, spesso, i contadini più poveri. Le prime rivolte avvennero nell’autunno 1860 con i primi casi di insurrezioni e disordini. Nel luglio 1861: il generale Enrico Cialdini viene inviato a Napoli con poteri speciali per sedare la rivolta. Nel 1862-1866 avvenne la fase più acuta della lotta al brigantaggio, mentre risalgono al periodo 1866-1871 le repressioni degli ultimi focolai.
Intorno al 1865, almeno 100 mila soldati piemontesi erano di stanza nel Meridione e si calcola che, per la lotta al brigantaggio, lo Stato italiano abbia impegnato più di 200 mila uomini, di cui circa 8.000 morirono in combattimento, disertarono o furono dati per dispersi.
Le perdite dei briganti sono invece difficili da quantificare. Circa 50 mila morti in combattimento o fucilati con processi sommari, circa 50 mila arrestati e condannati a pene detentive. A questi, vanno poi aggiunti i morti tra la popolazione civile.

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